Ci si lamenta (a
ragione) del fatto che troppo spesso i politici, invece di dedicarsi al
benessere collettivo, si concentrino essenzialmente sul tornaconto personale o
– se possiedono una vena di altruismo - del partito di appartenenza. D’altra
parte, l’egocentrismo non è un appannaggio esclusivo di questa categoria umana.
In molte cause di separazione è frequente che i coniugi usino i figli, invece
di preoccuparsi innanzitutto del loro benessere, per vendicarsi dell'altro o
per ottenere dei vantaggi di qualche tipo. Anche nel caso in cui professionisti
diversi si riuniscano per risolvere una questione complicata, ad esempio in
ambito medico, non è raro che s’impegnino di più per affermare ruolo e competenze
personali che per risolvere il problema del paziente. E che dire delle nostre tendenze
auto-lesioniste, quando - per orgoglio o soltanto per non cambiare - insistiamo
caparbiamente in condotte che comportano con evidenza costi ben superiori ai benefici.
Il filo comune che unisce tutti questi comportamenti è la rigidità dell’ego.
Quando siamo troppo arroccati sulle nostre posizioni, troppo sicuri delle
nostre idee, troppo concentrati sui nostri bisogni e diritti, non solo non
possiamo comunicare con gli altri, ma non facciamo bene neppure a noi stessi. La vita è un
costante divenire che si nutre di relazioni, e noi esistiamo soltanto grazie
alla continua interazione con l’ambiente che ci circonda. Per attenuare
conflitti e contrapposizioni – invece che glorificare egocentrismo e
specializzazione - abbiamo bisogno di sviluppare una più ampia visione
d’insieme, una cultura della complessità. D’altra parte, se esaltare
l’importanza individuale è una tendenza infantile e primitiva che appartiene a
ognuno di noi, viene da pensare che sia anche alimentata dal Potere: è molto
più facile gestire dei singoli che una comunità unita.
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